I riferimenti più ampi a
papà Giuseppe sono nella celebre Grammatica de/la fantasia, del
1973. Conviene riportare per esteso quanto l'autore scrive di lui,
muovendo da un"esercitazione creativa" intorno al termine
"forno". Dopo aver precisato di essere "figlio di un
fornaio", così prosegue: "La parola "forno" (nella
foto la casa di Omegna dove Rodari abitava) vuol dire, per me, uno stanzone ingombro di sacchi, con un'impastatrice meccanica sulla
sinistra, e di fronte le mattonelle bianche del forno, la sua bocca che si apre e chiude,
mio padre che impasta, modella, inforna, sforna. Per me e per mio fratello, che ne eravamo
ghiotti, egli curava ogni giorno in special modo una dozzina di panini di semola doppio
zero, che dovevano essere molto abbrustoliti". Nella
rievocazione entrano poi altri particolari, sempre rivelatori dei
sentimenti di gratitudine e tenerezza del figlio:
"L'ultima immagine che conservo di mio padre è quella di un
uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. E
fradicio e trema. È uscito sotto il temporale per aiutare un gattino
rimasto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di
bronco-polmonite. A quei tempi non c'era la penicillina". E di
rincalzo: "So di essere stato a vederlo più tardi, morto, sul suo letto, con le
mani in croce. Ricordo le mani ma non il volto. E anche dell'uomo che si scalda contro le
mattonelle tiepide non ricordo il volto, ma le braccia: si abbruciacchiava i peli con un
giornale acceso, perché non finissero nella pasta del pane. Il giornale era La
Gazzetta Del Popolo. Questo lo so di preciso, perché aveva una pagina per i bambini.
Era il 1929".
tratto da Gianni
Rodari Gavirate: Gli Anni Giovanili, Nicolini Editore, testo di
Federica Lucchini.
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